La chiusura di Xoom.it; echi della vecchia Internet

Per un breve periodo nel 1994 fu noto come Beverly Hills Internet per poi diventare più astrattamente Geocities. Parliamo di un sito pioniere tanto nel campo dell’hosting quanto in quello dei social network costruito sulla metafora della cittadina in cui ogni residente digitale ha modo di metter su casa (home page) e costruire la propria presenza virtuale. Fu un successo travolgente che inevitabilmente generò molti emuli. Tra questi ci fu anche Xoom, un progetto di hosting per pagine e siti personali che arrivò circa tre anni dopo Geocities nel pieno del boom delle dot-com.

A quella fase risale anche un accordo di licenza che permise il lancio della versione italiana sul dominio xoom.it. Mentre il progetto originario non ebbe vita molto lunga1, la versione italiana seguì varie vicende societarie fino ad accasarsi sul portale Virgilio.it che ha permesso al servizio di operare con continuità per più di un quarto di secolo, un’enormità per gli standard di Internet2.

Ora però anche questo eco della vecchia Internet sta per scomparire. Virgilio sta infatti informando i propri utenti della chiusura di Xoom.it dal 17 giugno 2024. Apposite procedure sono previste per scaricare una copia statica dei siti ospitati in un formato che eventualmente faciliterà anche la ripubblicazione in un diverso hosting3.

A parte l’immancabile velo di tristezza che accompagna queste dismissioni, la mail ricevuta da Virgilio mi ha riportato indietro di parecchi anni quando proprio su Xoom.it avevo caricato uno dei miei primi siti web. Come molte altre esperienze, il progetto era partito con grandi illusioni e con un piano di aggiornamenti continui tanto improbabile quanto fumoso… Alla fine quelle paginette stiracchiate si limitarono a contenere qualche guida e qualche manualetto che in quegli anni mi divertiva scrivere e condividere con la Rete.

C’è inevitabilmente anche un po’ di nostalgia non tanto per Xoom o per Geocities ma per quel livello della rete Internet in cui era ancora possibile tirare su un sito web da zero e popolarlo con il proprio pensiero. Non che non si possa fare anche oggi ovviamente, ma una goccia di originalità in un mare di contenuti generati algoritmicamente è inevitabilmente destinata all’oblio. Se in questi anni avete sentito parlare del protocollo Gemini, allora sapete che c’è un po’ di gente là fuori che non si è ancora rassegnata a questa deriva4.

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[1] Attualmente anche il dominio originario del sito fa capo ad una società completamente differente che si occupa di trasferimenti monetari. [2] Geocities chiuse bruscamente nel 2009 dopo essere stata una delle più dispendiose acquisizioni da parte della vecchia Yahoo! [3] Qui tutti i dettagli. [4] Vedi: Protocollo Gemini: l’uscita di sicurezza da un web ipertrofico.

In Internet senza SLIP :)

Screenshot del browser SlipKnout

Agli inizi degli anni ’90, chiusa la fase militare e ridimensionata quella accademica, Internet sembra pronto ad aprirsi all’uso commerciale e a raggiungere le aziende e i singoli utenti. Rimane però un ostacolo non banale: Internet è nata su macchine Unix nativamente collegate all’infrastruttura di rete e progettate per integrarsi perfettamente con i protocolli di comunicazione che ne regolano il funzionamento. Portare tutto questo alle singole utenze appare fin da subito un processo lungo e costoso. D’altro canto però c’è già la rete telefonica che arriva capillarmente negli uffici e nelle case e su di essa esiste già un notevole traffico dati basato sulla comunicazione diretta tra modem all’interno ad esempio delle BBS (Bulletin board system).

La prima soluzione che viene messa a punto è la più semplice: riutilizzare quanto più possibile l’esistente. Alla Rete vengono collegati i computer dei provider che poi rivendono la banda disponibile ai clienti finali utilizzando connessioni da modem a modem ed accessi in emulazione di terminale. Le astrusità di Unix restano a carico del provider e l’utente può continuare ad utilizzare la linea telefonica esistente ed il proprio economico personal computer.

Negli stessi anni però il lavoro del CERN su WWW e l’arrivo di NCSA Mosaic rendono evidente il potenziale di Internet e strategico l’accesso diretto in modalità grafica. Nascono in quel contesto i protocolli Serial Line Internet Protocol (SLIP) prima e Point-to-Point Protocol (PPP) subito dopo che permettono ad un qualsiasi PC collegato alla rete telefonica di accedere direttamente ad Internet diventandone istantaneamente un nodo.

La transizione dall’accesso indiretto tramite emulazione di terminale all’accesso diretto tramite SLIP o PPP sarà incredibilmente rapida tanto che già alla fine del decennio la vecchia Internet testuale dei terminali sarà stata in gran parte fagocitata dalle interfacce grafiche di WWW.

C’è stato però un breve periodo transitorio in cui le due tipologie di accesso coesistevano sul mercato ed erano in parte sovrapponibili. L’accesso in emulazione di terminale risultava mediamente meno costoso e soprattutto consentiva di portare su Internet computer dall’hardware molto limitato o equipaggiati con sistemi operativi a caratteri (principalmente di tipo DOS). Nasce in questo contesto SlipKnot, un browser shareware rilasciato per la prima volta nel 1994 e sviluppato da Peter Brooks di MicroMind. La sua peculiarità era quella di riuscire a portare la multimedialità di WWW anche sui computer che non disponevano di un accesso SLIP o PPP.

Per ottenere questo risultato SlipKnot utilizzava una interfaccia grafica ispirata al modello di Mosaic mentre dietro le quinte traduceva le azioni dell’utente in altrettanti comandi testuali da inviare al computer del provider. In questo modo SlipKnot era in grado di scaricare i vari elementi di una pagina (per lo più testo e grafica) e mostrarli all’utente sotto forma di pagina web composta.

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Una pagina storica di SlipKnot è ancora disponibile sul sito originale. Il nome SlipKnot è ovviamente alla base del non riuscitissimo gioco di parole utilizzato nel titolo. Ed a tal proposito non si può non notare come nominare sia SLIP che PPP in italiano faccia quasi sempre spuntare maliziosi sorrisini sul volto dell’interlocutore…

Vomitatori (Singolari perché senza memoria)

Con approccio semplicistico e scarso impegno di ricerca storica, molti sembrano convinti di vivere in una singolarità. È concetto ricorrente in molti campi dell’esistenza umana, ma lo è in particolare in quello tecnologico in cui fenomeni che risalgono agli albori delle reti informatiche -o addirittura le precedono- vengono spesso presentati come nuovi e caratteristici di questo tempo.

Di inedito in realtà c’è solo la stretta simbiosi che oggi abbiamo con i nostri dispositivi informatici e con la rete a cui sono perennemente collegati. Ma le dinamiche umane che popolano la parte abitata della rete sono in buona misura sempre le stesse, magari solo un po’ più compresse nei tempi e più trasversalmente diffuse.

La lente deformata che vorrebbe inedite situazioni e comportamenti in realtà quasi ancestrali, ha molte cause non ultima quella informativa. Viviamo un tempo in cui l’insulto di un mentecatto anziché stagnare nella fogna che lo ha generato viene elevato a notizia da presunti organi d’informazione e poi a vessillo da altrettanto presunte rappresentanze civili e politiche. Percepiamo oltraggioso e pericoloso ciò che spesso nulla è se non uno sfogo rabbioso di chi non ha trovato altro modo per esprimersi. Ma tant’è, l’odio e la paura vendono molto più del ragionamento. Ed anche questa non è certo una novità del nostro tempo.

Pensavo a questa cornice rileggendo un vecchio ebook dei primi anni ’90, la Guida a Internet della Electronic Frontier Foundation nella traduzione in Italiano di LiberLiber. Nel capitolo 4 vengono tracciati vari profili tipici dell’utenza dell’allora strategica rete Usenet, e tra questi si dà anche la definizione seguente:

I “vomitatori” (spewers) danno per scontato che le cose che stanno loro a cuore, quali che esse siano, risultino di interesse generale, o debbano essere propinate a forza alle persone che sembrano non interessate, il più frequentemente possibile. In genere si possono identificare i vomitatori dal numero di messaggi che scrivono ogni giorno sullo stesso argomento, e dal numero di newsgroup ai quali li inviano: in entrambi i casi, si può arrivare tranquillamente a numeri di due cifre. Spesso questi messaggi concernono uno dei vari conflitti etnici sparsi per il mondo, e non esiste alcuna connessione comprensibile fra il loro oggetto e gli argomenti discussi dal newsgroup al quale vengono inviati. Ma ciò non sembra avere alcuna importanza: se cerchi di farlo rilevare rispondendo a uno di questi messaggi, sarai inondato da repliche astiose, che ti accuseranno di essere un razzista insensibile, di non vedere al di là del tuo naso, o di qualcos’altro ancora, oppure ignoreranno del tutto i tuoi argomenti rispondendo con diverse centinaia di nuove righe dedicate a illustrare la perfidia di coloro, chiunque essi siano, che secondo il vomitatore tentano di distruggere il suo popolo.

Sostituite newsgroup con social network e si potrebbe mandare in stampa anche oggi.

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Una vecchia edizione dell’EFF’s Guide to the Internet è disponibile qui. La versione tradotta da cui è presa la citazione è consultabile qui in vari formati. La parte abitata della rete è un libro di Sergio Maistrello.

Retrocomputing spiegato bene

Lo sguardo perso in una foto a cercare di coglierne i dettagli, di decifrare le scritte, di intuire le funzioni nascoste dietro ogni icona. Quasi una visione iperdimensionale in cui ogni blocco di pixel è il punto di ingresso di un nuovo mondo. Soggetto di questa immagine l’HP 200LX, uno strano ibrido degli anni ’90 a metà strada tra un laptop ed un organizer tecnicamente definito Palmtop PC.

Un processore Intel 80186 da 7.91 MHz, 640 kB di RAM e fino a 4 MB di memoria per far girare un DOS di Microsoft e sopra questo un ambiente grafico monocromatico con calendario, agenda, rubrica, calcolatrice e persino il leggendario Lotus 1-2-3. Il tutto alimentato da due comuni batterie AA.

Negli ordini di grandezza tutta la poesia di una informatica frugale: i processori con frequenze decimali sulla scala dei MHz, la RAM ancora in kB, una memoria dati che oggi non conterrebbe neppure una foto, due batterie da supermercato tanto economiche quanto universali. Eppure tanto bastava.

E mentre osservavo ammirato questo oggetto comparso sulla mia timeline fantasticando sui suoi molteplici utilizzi, d’improvviso realizzo di trovarmi di fronte al mio smartphone; di avere tra le mani un dispositivo che, tastiera QWERTY a parte, quelle funzioni le ha tutte assieme a mille altre e la cui potenza di calcolo è svariati ordini di grandezza superiore (pur essendo il mio uno smartphone molto modesto); e che nonostante ciò non sembra altrettanto significativo.

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Immagine: HP 200LX – CC-BY-SA Tamie49 / Wikipedia